martedì 30 marzo 2010

hanno perso o hanno vinto?

la sinistra è uscita ancora una volta sonoramente sconfitta dalle elezioni. segno inequivocabile che gli italiani non sono stupidi.
però da qualche parte si dice che hanno 'tenuto'..
mah. ho sempre pensato che l'alcool fa male!!!

venerdì 1 maggio 2009

1° maggio

La festa del Primo maggio porta alla mente battaglie combattute per la riduzione delle ore giornaliere, per il miglioramento delle condizioni di lavoro, per l'emancipazione di ceti che provenivano da secoli di fame e sofferenze. Anche se ha avuto la propria genesi nella Chicago già industriale degli anni Ottanta del diciannovesimo secolo, questa ricorrenza - nel nostro Paese - può pure evocare la Torino di Antonio Gramsci e Piero Gobetti in cui le masse operaie si pensavano (ed erano, in larga misura) un'avanguardia: nutrendo la speranza di scardinare una struttura sociale ancora troppo chiusa e gerarchica, nonostante il dinamismo impresso dagli spiriti più intraprendenti del capitalismo.
C'era una volta tutto questo, ma oggi lo scenario è altro. Il tono stanco che da decenni caratterizza questo rito sempre uguale a se stesso si spiega con il fatto che tale appuntamento, ormai, rappresenta l'autocelebrazione di organizzazioni sindacali che hanno bisogno di incensarsi da sole perché hanno perso credibilità, che si reggono sulle iscrizioni dei pensionati (i quali firmano l'adesione all'atto di compilare le pratiche previdenziali) perché i consensi tra gli operai e gli impiegati sono sempre meno, che difendono una maniera di concepire la società ormai tramontata.
Questo Primo maggio, soprattutto, è una festa senza giovani: e non a caso i sindacati utilizzano il miserevole trucchetto del concerto gratuito per portare in piazza chi diversamente non ci andrebbe.
Non si tratta solo di prendere atto di come i sindacati facciano parte di quell'insieme di istituzioni (dai partiti alla magistratura) la cui immagine è più che deteriorata. C'è soprattutto la constatazione che oggi il lavoro sta prendendo altre strade, lontane dalla militarizzazione fordista a suo modo eroica della prima industrializzazione, ma soprattutto da quell'irresponsabile espansione del settore pubblico che è stata la scommessa (perduta) del sindacalismo: in Italia e altrove.
Oggi che economie appesantite da burocrazie elefantiache e da smisurati prelievi fiscali e parafiscali arrancano sempre di più, è difficile immaginare che l'apparato di potere della Triplice rappresenti un riferimento per quanti non potranno insegnare perché chi li ha preceduti ha occupato ogni spazio, né seguiranno certo le orme del padre che lavora al Catasto o della madre che ha un part-time in prefettura. I giovani di oggi avvertono che il loro futuro è incerto perché chi li ha preceduti ha creduto alle favole della demagogia sindacale e della spesa pubblica: con il risultato di lasciare in eredità un'Italia arretrata, il cui debito pubblico supera il 100% del Pil.
Quanti oggi sono laureati in farmacia ma non possono aprire un'attività, laureati in legge e non possono fare il notaio, e neppure il tassista, difficilmente si sentono rappresentati da organizzazioni che per decenni hanno tutelato soprattutto gli status acquisiti, a scapito di chi è fuori del gioco: continuando a chiedere aiuti alle grandi imprese, ad esempio, anche se questo danneggiava il vasto tessuto delle realtà più piccole e spesso più dinamiche.
La demagogia di ieri sul posto fisso, che tanto continua a incidere sulle difficoltà dei giovani, è stata in parte sostituita dalla denuncia degli incidenti sul lavoro: e infatti è intorno a tale tema che i sindacalisti in queste ore vanno costruendo le loro omelie. Ma è un gioco che non funziona, perché tra i responsabili delle morti bianche vi sono quanti hanno in vario modo ostacolato la crescita economica e ritardato la modernizzazione, finendo per indebolire, di fatto, chi oggi è in prima linea nella dura lotta per guadagnarsi da vivere: con un contratto a progetto o la difficile avventura di una partita Iva.
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venerdì 6 febbraio 2009

addio stalinisti

la legge elettorale appena varata dal parlamento sbarra l'accesso al Parlamento europeo a tutte le formazioni che su scala nazionale non varchino il 4%

un commosso saluto ai morituri "compagni" stalinisti, già scacciati a pedate dal Parlamento italiano e presto privati del seggio a Bruxelles.

gli toccherà trovarsiun seggio sull'autobus, s emprechè ci riescamo...

addio.. non ci mancherete

martedì 30 dicembre 2008

l'ultima bufala di Uolter

Qualità della vita, ultimo schiaffo alla Roma di Veltroni

La qualità della vita a Roma peggiora. Lo dice la classifica stilata come ogni anno dal Sole 24 Ore, basata su 36 indicatori suddivisi in sei macroaree (tenore di vita; affari e lavoro; servizi, ambiente e salute; ordine pubblico; popolazione; tempo libero), che registra un pesante arretramento della capitale rispetto alla «pagella» del 2007: allora Roma era ottava, quest’anno è scesa al 28° posto, dietro la capolista Aosta, dietro ad altre 26 città prevalentemente del Nord e a pari merito con Pesaro-Urbino. Una controperformance che - si badi - poco ha a che vedere con il cambio di amministrazione, visto che il grosso dei parametri si riferisce a dati del 2007, quando sindaco era ancora Walter Veltroni. Il declino, insomma, porta il suo marchio.Ma veniamo alle cifre del declassamento. Nella macroarea tenore di vita Roma scende all’11° posto nazionale, conservando - ma è l’unica consolazione - il ruolo di città più ricca del Centro-Sud. Roma è sesta per Pil, terza per depositi bancari, quarta per importo medio delle pensioni, 36ma per consumi familiari, 66ma per inflazione, e ultima (ovvero 103ma) per costo delle case. Nella categoria affari&lavoro, Roma è al 65° posto, penalizzata in particolare dalle imprese chiuse (101° posto) e dai protesti (100°); la capitale galleggia nello spirito d’iniziativa (50°), nella percentuale di chi cerca lavoro (63°) e nella percentuale di giovani occupati (58°) mentre è ottimo il rapporto iscrizioni/cancellazioni alla camera di commercio, dove Roma è addirittura prima in Italia. Passiamo ai servizi: Roma è settima in Italia grazie alle infrastrutture (3°), al clima (29° posto) e alla limitata dispersione scolastica (37°) e malgrado le insufficienze nell’ambiente (70°), nella sicurezza delle strade (96°) e nella velocità della giustizia (75°). Nell’ordine pubblico Roma è molto indietro: 98° posto in Italia (solo Rimini, Milano, Bologna, Genova e Torino stanno peggio), in particolare a cuasa di borseggi e scippi (98°), furti d’auto (102°) e rapine (97°). Va un po’ meglio nei furti in casa (62°) e nei minori denunciati (78°), mentre negativo è anche il trend, che pone Roma al 70° posto in tutta Italia. Quinta macroarea esaminata è quella demografica: qui Roma è al 39° posto: tra gli aspetti negativi un’eccessiva densità di abitanti (100°) e una scarsa natalità (83°), nella norma il rapporto giovani/anziani (47°), mentre Roma si piazza bene nella presenza di stranieri (28°), nelle iscrizioni all’anagrafe in rapporto alle cancellazioni (22°) e nell’investimento in formazione (12°). Infine il tempo libero: qui Roma è al 14° posto, trainato, come tutte le grandi città, dagli acquisti in libreria (4°), da un buona confidenza con il cinema (10°), con le palestre (15°) e con le sale concerto (25°). I romani però vanno poco al ristorante (68°) e fanno pochissimo volontariato (99°).Naturalmente la sinistra ha preso spunto da queste classifiche per criticare la giunta: «Con Alemanno la capitale va in serie B», dice Enzo Foschi, consigliere regionale del Pd. Accusa restituita subito al mittente dal senatore del Pdl Andrea Augello: «Basta leggere con attenzione i dati per scoprire che su 36 indicatori scelti dal quotidiano finanziario ben 28 sono riferiti al 2007. Degli otto rimanenti, tre sono riferibili al 2007-2008, ma anche in questo caso i dodici mesi presi in esame vanno dall’ottobre 2007 al settembre del 2008».

venerdì 28 novembre 2008

Alla Sapienza la destra umilia gli anti Gelmini
Altra battuta d'arresto per la sinistra. Questa volta arriva dal mondo dell'università. Alle votazioni per il rinnovo delle rappresentanze studentesche negli organi colleggiali della Sapienza le liste collegate al mondo di destra hanno avuto la fiducia della maggior parte degli elettori. Otto erano le liste che concorrevano. Si va dai «Collettivi in movimento», lista protagonista dell'Onda di protesta anti-Gelmini, all'«Udu», collegata alla Cgil. Da Azione Universtaria vicina ad An fino ad arrivare a «Lista aperta» legata a Comunione e liberarione passando per «Vento di rinnovamento» sostenuta dal rettore Luigi Frati e «Studenti democratici» lista legata alla Sinistra giovanile (Pd). Infine «I Corvi» ala umanistica dell'Ateneo e «Sapienza in movimento», lista legata al mondo ambientalista.
Si è espresso il 10,6% per cento degli aventi diritto, pari a 13.348 votanti, superando il quorum che consente di avere la rappresentanza piena degli studenti negli organi collegiali centrali. Anche se i risultati ufficiali si sapranno solamente la prossima settimana, la tendenza vede in netto vantaggio le liste di destra. In testa «Vento di cambiamento» che ha ottenuto nella elezione per il rinnovo della rappresentanza studentesca nel Cda 3081 voti, seguita da «Lista aperta» con 2015 e da Azione Universitaria 1713.
Non sono state sufficienti quindi né le mobilitazioni di piazza né tantomeno le giornate di occupazione dell'Ateneo per convincere l'elettorato a votare le liste di lotta. La maggior parte degli studenti hanno preferito quelle riconducibili al centrodestra. Un risultato che, secondo il ministro della Gioventù Giorgia Meloni, «dimostra come la maggioranza degli studenti condividono le iniziative intraprese sinora dal governo e non si fanno convincere dalle troppe mistificazioni messe in atto dall'opposizione». Affermazione subito ribattuta da Pina Picierno, ministro ombra Pd delle Politiche giovanili: «È inaccettabile che il ministro Meloni strumentalizzi il voto degli studenti, interpretandolo come condivisione delle iniziative del governo».
Intanto il Rettore Frati ha espresso la propria soddisfazione per il clima di ordinata competizione elettorale, cosa invece contestata dai Collettivi che denunciano: «È stato uno scandalo baronal-clientelare. Abbiamo assistito alle peggiori irregolarità».

martedì 25 novembre 2008

LA NOTTE BIANCA DI VENDOLA: COI SOLDI DEGLI ALTRI

Una faraonica «notte bianca» per il più «rosso» dei governatori italiani. Oltre sei milioni di euro, più di ogni altra grande manifestazione organizzata nel Paese, per tre soli giorni di ludiche kermesse in terra di Puglia. Si tratta di quattrini dell’Unione Europea stanziati dalla Regione guidata da Nichi Vendola attraverso i fondi Por. Soldi, tantissimi soldi, destinati a rivitalizzare il turismo, che spariranno però nel giro di tre giorni, appunto, fra il 5 e il 7 dicembre. In un solo, gigantesco evento. Un’esagerazione senza precedenti, tanto che persino la Cgil definisce «ignobile» la scelta della Regione.Previsti spettacoli ed eventi di ogni genere come in tante altre città. Solo che se si fa il confronto con gli altri grandi eventi sparsi per il Paese, i conti non tornano. Perché, ad esempio, per la prima, pirotecnica, notte Bianca romana voluta da Walter Veltroni, il denaro speso è stato di tre milioni di euro. Meno della metà di quella «vendoliana», ma pur sempre troppo se paragonata a quella milanese del 2004, per la quale il Comune ha tirato fuori solo 175mila euro (il resto proveniva da altre fonti, sponsor, eccetera).Quella pugliese, ribattezzata «Night parade», sembra destinata a passare ai posteri come la più cara della storia. Più cara del Carnevale di Venezia, che costa 1 milione e 100mila euro; più cara di Umbria Jazz, per la quale non si spendono più di tre milioni e mezzo a fronte di una durata non di tre giorni bensì di quindici. Meno cara solo dell’irraggiungibile «Festival del film» di Roma, che però quest’anno con Alemanno ha avuto una riduzione del budget passando da 17,6 milioni a 15,5.L’intera somma che la Puglia ha stanziato per la Notte Bianca sarà gestita dal Teatro pubblico pugliese, che ha ottenuto l'onere e l’onore senza dover superare la difficoltà di un bando pubblico. Quasi tre milioni di euro sono destinati al pagamento degli artisti, 180mila per Baglioni e Venditti, mentre per il solo Cirque du Soleil saranno spesi 800mila euro. Inoltre, a parte i 400mila euro destinati agli spettacoli nei comuni «minori», saranno utilizzati 1 milione di euro per «servizi di produzione e fitti», 180mila euro per «logistica e trasferimenti», 240mila euro per la Siae, 540mila per «il coordinamento generale e organizzazione», 96mila per «spese di gestione organizzativa», 18mila di assicurazione e 600mila euro per la promozione pubblicitaria. Il presidente del Teatro pubblico, Carmelo Grassi, non nega l'enormità della spesa complessiva, ma la giustifica: «Certo, i costi sono molto elevati ma saranno comunque documentati (...). Si può non essere d'accordo, ma bisogna verificare se sarebbe stato possibile utilizzare quei fondi in modo diverso». A non essere per niente d'accordo è appunto la Cgil: «Il sindacato protesta per la gestione di questa vicenda che è ignobile - spiega Antonio Fuiano, coordinatore regionale della Slc-Cgil -, non siamo stati né coinvolti né informati e non c'è alcuna possibilità di controllo sulle spese». Le critiche del sindacato prendono di mira anche un altro fronte: «Solo il 20 per cento delle risorse sarà utilizzato a beneficio delle compagnie della regione, mentre il resto dei soldi finiranno fuori. E poi, in un momento in cui il Mezzogiorno fa una battaglia per qualificare la spesa pubblica, noi ci permettiamo di utilizzare così il denaro pubblico? Le cifre mi sembrano francamente eccessive, anche a fronte del pericolo che quei soldi vadano persi». C'è poi chi si chiede perché organizzare un’altra Notte Bianca in pieno inverno e per quale motivo non ci si è concentrati sugli investimenti privati, così come avvenuto altrove in occasione simili. Massimo Ostillio, assessore al Turismo, non ha invece ripensamenti: «Da uno studio in nostro possesso emerge che per ogni euro speso dalla Regione, ne torneranno sul territorio 22. La cifra è elevata, vero, ma va considerata come una cifra di massima».

lunedì 24 novembre 2008

la sinistra perde pezzi e la faccia. dal pizzino di la torre alla coda alla vaccinara di di carlo

Qual è il filo rosso che lega la torre a di carlo? semplice, l'attaccamento alla poltrona.
non è neanche passata la bufera per il pizzino passato da la torre (PD, area dalemiana) a italo bocchino per mettere in difficoltà Donadi su otto e mezzo, che subito dopo a report del 23 novembre, appare un assessore regionale (Di carlo, PD) rivelare il suo vero volto di affarista alla Franco Evangelisti (storico braccio destro del divo giulio).
Di carlo, infatti, a telecamere -apparentemente- spente, dà il meglio di sè, e si prodiga in spiegazioni molto illuminanti su quale sia la sostanza del suo rapporto che lo lega all'imprenditore avvocato ( o avvocato-imprendiore) che gestisce il gassificatore di Malagrotta, recentemente posto sotto sequestro dalla magistratura penale di Roma.
per quanto le sue rivelazioni non possano certo fondare accuse penali, e volendo pure credere alla sua buona fede, da garantisti quali siamo non sollecitiamo certo la gogna o la galera nè le manette, ma pretendiamo che venga restituita una parvenza di dignità alla politica italiana.
Perciò chiediamo che il presidente Marrazzo non respinga democristianamente le sue dimissioni ma invece imponga le dimissioni di questo figuro da tutte le cariche accordategli.
La politica, specie quella dei rifiuti, non può essere gestita da personaggi di questa risma.E' ora di dire 'basta'